Agricoltura naturale

Parliamo di agricoltura naturale per intendere la coltivazione fatta in modo totalmente naturale o comunque nel modo più naturale possibile. Ovviamente l’agricoltore deve fare interventi sul terreno, ma senza utilizzo di prodotti chimici industriali, né per concimare né per diserbare né per uccidere animaletti che possano danneggiare le colture.

Sembra impossibile, eppure la coltivazione in un ambiente naturale riduce la problematica di malattie legate ad insetti che possano compromettere in tutto o in parte il raccolto. Nei nostri campi c’è estrema biodiversità, ci sono le cosiddette erbe spontanee o erbe selvatiche, che all’interno della monocoltura creano un ambiente che fa da ostacolo in modo naturale e crea un rallentamento all’eventuale attacco da parte di insetti dannosi.

Viceversa, nei campi coltivati in maniera convenzionale, con impiego di agenti chimici, e contivati per decine o centinaia di ettari dove la pianta è sempre la stessa, quando gli insetti riescono ad attaccare la pianta, procedono poi su tutte e molto velocemente, rendendo quel tipo di coltivazioni molto più vulnerabili.

Quando comprate i nostri grani antichi, portate a casa un prodotto unico, ottenuto dall’applicazione di una serie di metodi naturali, ancora più rigorosi delle procedure già di per se importanti previste dall’agricoltura biologica.

Per essere naturali inoltre, è di grande aiuto per un’azienda mantenere il più possibile un ciclo chiuso, cioè fare le lavorazioni in autonomia (lavorazione della terra, raccolta del prodotto). Indispensabile è la nostra mietitrebbia, una Laverda degli anni ’80.

Noi di Storie di Mieli cerchiamo di ridurre al minimo le lavorazioni del terreno, le limitiamo agli strati superficiali, utilizziamo i cicli colturali, ossia l’alternanza di diversi tipi di coltivazione, alcuni che possono andare a raccolto, altri invece fatti unicamente con lo scopo di arricchire il terreno.

Si tratta quindi di operare seguendo due concetti fondamentali, il Sovescio e le lavorazioni superficiali.

Il Sovescio

Il sovescio è una pratica agronomica che consiste nel coltivare piante specifiche, solitamente leguminose, con l’obiettivo di migliorare la fertilità del suolo e la salute dell’ecosistema agricolo. Non sono molti gli agricoltori che la conoscono e la applicano.

In pratica si tratta di seminare e fare crescere nel campo, almeno per la prima fase del loro ciclo vegetativo, piante che poi vengono trinciate e interrate in modo che la loro parte verde crei nutrimento con apporto di sostanza organica all’interno del terreno, così come le loro radici e i microrganismi che si instaurano al loro interno.

Noi di Storie di Mieli solitamente utilizziamo una pianta denominata Favino, che produce in primavera una bellissima parte aerea, ricca di componenti organiche. Le sue radici inoltre, sviluppandosi nel terreno lo arricchiscono mediante una serie di microorganismi.

Le lavorazioni superficiali

L’altro aspetto importantissimo, alla base dell’agricoltura naturale è di capire che il suolo, qualsiasi tipo di suolo, nei suoi primi 15 centimetri ha la parte più ricca di nutrienti, perciò quella più utile da coltivare.
Quando applichiamo la lavorazione superficiale cerchiamo di rimescolare e smuovere i primi 15 centimetri del terreno, soprattutto quello argilloso, per creare un ambiente più morbido al crescere delle radici, e al rendersi permeabile all’acqua.

Dai 15-20 centimetri in giù il terreno si impoverisce tantissimo fino ad arrivare ad essere praticamente inerte.

Quello che evitiamo assolutamente sono le lavorazioni profonde, proprio quelle che sono applicate dalla gran parte degli agricoltori, convinti che più in profondità si ari, più si aiuti il terreno. In realtà l’aratro porta in superficie quello che ha trovato a 30, 40, 50 o anche 60 centimetri di profondità, e ciò che era in superficie, i famosi 10-15 centimetri di terreno più nobile, viene sepolto in profondità.

In superficie arriva così il terreno più povero, spesso totalmente inerte, che per essere reso produttivo richiede una quantità enorme di concimi chimici.

Chi invece esegue lavorazioni minime, sia nell’orto che in estensioni maggiori, si trova un arricchimento dei nutrienti nel terreno e può con il passare degli anni ridurre ulteriormente queste lavorazioni. Si tratta di una pratica più garbata, che non inverte gli strati, e permette al terreno di arricchirsi sia di sostanza organica che di friabilità e morbidezza.

Per lavorare il terreno senza arare, uno degli strumenti principali è il ripuntatore, non gira la terra come fa l’aratro ma, senza ribaltare le zolle, crea un taglio nel terreno, lo ossigena, lo smuove, lo rende pronto per una rifinitura con attrezzi che si chiamano erpici, che sminuzzano il terreno in superficie.

Come prepariamo il terreno

Sul terreno crescono erbe spontanee o vengono fatte crescere piante da sovescio, come il Favino. La prima fase di preparazione ha lo scopo di sminuzzare queste parti verdi aeree, mediante un attrezzo chiamato trinciatrice, collegato al trattore, mettendo in atto il procedimento della trinciatura.

A questo si passa alla fase detta della ripuntatura. Mediante un attrezzo chiamato ripuntatore, si aprono dei solchi, si creano delle spaccature e si sminuzza il terreno.

Nella fase successiva, quella della erpicatura, si mescola il terreno con le parti aeree delle piante, operando sempre solo nei primi 10-15 centimetri di profondità.

La nostra modalità di preparare il terreno alla semina dei grani antichi è totalmente naturale, con procedimenti che superano in meglio i requisiti delle coltivazioni biologiche, che ammettono che il coltivatore utilizzi prodotti chimici, anche se in quantità minore.

Quello che si può mettere in atto per creare un prodotto sano è quindi molto di più di quello che viene richiesto per le coltivazioni che rispettano i requisiti del prodotto biologico.

I nostri grani antichi si ottengono quindi dalla preparazione totalmente naturale del terreno, e dal rispetto per l’ambiente, si tratta di avere garbo per la Madre Terra, senza utilizzare prodotti non naturali.
Ovviamente i nostri procedimenti sono più laboriosi, meno “facili”, ma ci permettono di non mettere prodotti chimici nel terreno.

L’alternanza della semina, che rispettiamo, è quelli di coltivare nello stesso appezzamento cereali per due anni consecutivi, al terzo anno bisogna fare due cicli colturali, uno di sovescio (trinciatura, ripuntatura ed erpicatura) e uno di leguminose, spesso ceci.

Il Cornoletame

L’agricoltura Biodinamica, una fiolosofia agricola promossa da Rudolf Steiner, riconducibile all’idea che tutto ciò che è vita è un processo in continua trasformazione, mette in evidenza il fatto che le forze terrestri influenzano la crescita delle piante.

Gli agricoltori biodinamici utilizzano le proprie conoscenze sul piano pratico, scegliendo il momento per seminare e piantare, per utilizzare varie tecniche di coltura.

Noi di Storie di Mieli adottiamo alcune di queste tecniche, che assolutamente non fanno uso di prodotti chimici, tra le quali principalmente il Cornoletame, che facciamo più volte durante l’anno, specie in primavera.

Si tratta di un preparato costituito da letame di vacca pressato all’interno di un corno di mucca, interrato di circa mezzo metro in determinate zone, e lasciato maturare per circa 6 mesi.

Il materiale che si ottiene si usa in dosi, ciascuna può variare tra i 150 e i 200 grammi per ettaro, e va sciolta in circa 40 litri di acqua sana, a temperatura di 37 gradi, con un procedimento che dura circa un’ora e che è consigliabile effettuare nel tardo pomeriggio.

Il prodotto ottenuto va poi spruzzato sul campo tramite un atomizzatore a spalla in rame.

Il letame deve provenire da animali allevati senza utilizzo di mangimi chimici e antibiotici. Lo scopo di questa tecnica è quello di arricchire il campo con un concentrato di batteri benefici.